Una tesi importante sul rapporto tra pensiero e linguaggio è stata sviluppata negli anni '30 da Lev Semënovic Vygotskij il quale sostenne che pensiero e linguaggio sono indissolubilmente legati tra loro e nascono assieme. Il suo concetto si sintetizza così: non c'è pensiero senza linguaggio (1). Da questa e da altre affermazioni simili si deduce facilmente che linguaggio e pensiero sono azioni diverse che si integrano tra loro. Il linguaggio non serve solo a trasformare in parole i nostri pensieri, ma ha una funzione regolatrice sul pensiero e sul suo sviluppo. Per lo sviluppo del linguaggio è indispensabile l'integrità degli apparati uditivo e fonatorio e l'interazione tra gli uomini. Col linguaggio si interagisce e si forma il pensiero.
Non dobbiamo dimenticare un altro punto fondamentale: l’uomo pensa nella lingua in cui è abituato a parlare.
Il linguaggio è alla base dell’interazione umana. Per comprendere meglio questa affermazione ritengo doveroso ricordare gli organi di senso, in particolare quello dell'udito, che svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo e nel mantenimento del linguaggio.
Il pensiero è l'elaborazione cerebrale di concetti, la formulazione di ragionamenti e la ricerca di una soluzione ai problemi. Nelle definizioni di pensiero esistono sempre tre attività: A) apprendimento o introduzione di concetti; B) elaborazione dei concetti appresi e C) esteriorizzazione dei concetti elaborati.
Nel soggetto normoudente e dotato di normali capacità di sviluppare il linguaggio i tre concetti sopra esposti si possono riscrivere così: 1)ascoltodi concetti espressi da altri uomini collinguaggio;2) elaborazione dei concetti appresi nella lingua in cui si è abituati a parlaree 3) esteriorizzazione collinguaggiodei concetti elaborati. Se vogliamo essere più precisi dobbiamo tener presente che l'uomo è un interazionista trialista (K. Popper e J. Eccles) quindi dobbiamo allargare il concetto di pensiero al confronto col pensiero di altri uomini ed avremo queste ulteriori fasi: 4) chi ascolta recepisce i concetti elaborati ed esegue una valutazione; 5) chi ascolta esprime col linguaggio l'assenso o il dissenso nei confronti del pensiero ricevuto e 6) la persona che ha elaborato il concetto ascolta e trova una conferma del suo pensiero oppure si trova in dissenso.
Queste ultime tre fasi: 4), 5) e 6) sono espressione dell'interazione con gli altri uomini. Qualora la fase 6) esiti in un dissenso si riparte con una nuova espressione e il ciclo può continuare fino a quando uno non fa cambiare pensiero all'altro oppure il dialogo s’interrompe e ciascuno resta della propria opinione.
Ho indicato in grassetto tre concetti che ritengo fondamentali e desidero ribadire.
L'ascolto e il linguaggio, cioè la capacità di udire i discorsi degli altri, è fondamentale per la comprensione dei concetti. E' vero che si può apprendere anche con l'esempio, con la lettura, però l'ascolto di frasi, soprattutto se rivolto al bambino, è la forma di introduzione di concetti verso il cervello più semplice, più comune e più usata. Ho cercato di schematizzare come avviene il dialogo tra due persone. Lo schema è tratto dal libro "La sordità infantile", Parma, 1992.
Questo schema raffigura la comunicazione verbale tra due persone.
A sinistra chi esprime un pensiero e lo trasforma in un messaggio verbale
e a destra chi ascolta.
Le frecce nere indicano la comunicazione verbale prorpiamente detta tra due persone.
Le frecce rosa il feed-back verbo acustico di chi parla.
L'elaborazione dei concetti appresi nella lingua in cui si è abituati a parlare. E' questa l'attività del cervello umano. Tutto ciò che viene elaborato dal nostro cervello avviene attraverso il linguaggio. Ci sono poche eccezioni come l'elaborazione di una musica o di una immagine o di un quadro a colori, ma proprio perché sono eccezioni le dobbiamo tralasciare. I pensieri di una persona avvengono attraverso il linguaggio, quindi l'apprendimento di una lingua parlata è fondamentale per l'interazione umana e per sviluppare il pensiero.
Esteriorizzazione del pensiero col linguaggio. E' questa la più naturale espressione del pensiero dell'uomo.
In questo schema si osserva il feed-back verbo-acustico nel normoudente e
un secondo feed-back costituito dalla comunicazione verbo-acustica, cioè il linguaggio.
Il poter percepire i suoni emessi permette al bambino l'apprendimento del linguaggio.
Il confronto linguistico con gli altri uomini permette di perfezionare il linguaggio
ma non solo,
consente di ricevere il pensiero di chi ci circonda e soprattutto si ricevono
conferme o correzioni sui pensieri elaborati.
Cercherò ora di affrontare un altro tema che riguarda le persone che non sono in grado di sentire e di parlare. La domanda che mi pongo è questa: è possibile sviluppare un pensiero senza linguaggio?
Occorre fare una distinzione fondamentale tra gli uomini che non hanno mai posseduto un linguaggio e gli uomini che lo hanno posseduto e poi l’hanno perso.
A - Il pensiero senza linguaggio: gli uomini che hanno posseduto il linguaggio e poi l’hanno perso.
Tra questi uomini colloco gli afasici. Sono coloro che non hanno deficit psichiatrici e nemmeno intellettivi, hanno capacità sensoriali (in particolare visive e uditive) normali ma hanno una lesione cerebrale delle aree del cervello deputate alla elaborazione del linguaggio. Sappiamo che per un normale sviluppo del linguaggio è necessaria l’integrità delle aree corticali di Broca e di Wernicke. Le cause che portano ad afasia sono numerose, è fondamentale che il danno sia a carico delle aree citate dell’emisfero dominante. Tra le cause ricordo le ischemie, le emorragie cerebrali, i tumori, i traumi cranici, gli ascessi cerebrali, ecc.
Gli afasici non si possono considerare delle persone che pensano senza linguaggio, perché prima che fosse presente la malattia loro erano in grado di pensare normalmente. Queste persone nei primi anni di vita hanno appreso un linguaggio, lo hanno elaborato e con questo si sono espressi. Hanno quindi sviluppato un pensiero attraverso il linguaggio. Hanno eseguito molteplici azioni di rinforzo o di indebolimento del loro modo di pensare grazie al confronto (sempre col linguaggio) col pensiero di altri uomini. Quindi l’afasico rientra sempre tra coloro che pensano nella lingua con la quale hanno imparato a parlare. Semplicemente non riescono a parlare per lesione delle aree di Broca e di Wernicke (area 44 e 45 di Brodmann).
B - Il pensiero senza linguaggio: gli uomini che non hanno mai sviluppato il linguaggio.
In questo gruppo si collocano i sordi totali dalla nascita o dai primi mesi di vita. Molti studi psicologici su queste persone sono scarsamente attendibili perché coloro che hanno perso totalmente l’udito dalla nascita sono pochissimi. Spesso si tende ad estendere questo concetto a tutti i sordomuti e a volte anche ai sordastri (2). Ritengo questo un errore; molti studi proprio per la loro disomogenità dei soggetti esaminati non si possono considerare campioni statisticamente attendibili.
Il sordo totale è una situazione molto rara. Molti casi di bambini ritenuti sordi riescono a sentire i suoni gravi mentre presentano un deficit percettivo acustico che si aggrava per le frequenze acute. Questa considerazione è stata elaborata dal prof. Peter Guberina di Zagabria, ideatore del metodo verbo-tonale per il recupero dei bambini audiolesi. Guberina ha cercato di sviluppare un metodo basato sulla formulazione di suoni centrati sulle frequenze gravi che il piccolo sordo è in grado di comprendere. Questo fatto è importante per capire che in molti casi chi è giudicato sordo ha un minimo di residuo uditivo che gli permette di capire che esiste un linguaggio con cui altre persone comunicano. Diventa quindi molto difficile individuare coloro che sono sordi completi, senza residui sulle frequenze gravi. Per comprendere meglio questa difficoltà occorre pensare che il suono grave si trasforma in vibrazione e pertanto tutti percepiscono le vibrazioni.
Esiste una difficoltà oggettiva nel poter studiare sordi totali.
Alle affermazioni di Vygotskij che sostenne l’indissolubilità tra pensiero e linguaggio si contrappongono le tesi di Hans G. Furth (3) “Il linguaggio è strumento privilegiato del pensiero, ma il pensiero senza linguaggio verbale è possibile”. Egli fece studi approfonditi sul comportamento dei sordomuti.
Non bisogna dimenticare che nei secoli passati il sordomuto veniva equiparato al debole di mente, proprio per le difficoltà espressive. Oggi siamo certi che il sordomuto non ha alcun danno encefalico e nemmeno agli organi della fonazione, pertanto la parola "muto" dovrà essere eliminata. Quello che in passato è stato definito sordomuto è una persona che ha avuto solo una perdita dell'udito prima di apprendere il linguaggio. E' quindi più corretto utilizzare il termine di - sordo preverbale -. Il sordo preverbale se viene sottoposto a test psicologici sulle capacità cognitive spesso ha risultati scadenti, decisamente inferiori agli udenti. Purtroppo i test sono quasi tutti impostati sulle competenze linguistiche e i test non verbali sono pochissimi.
Ritengo che per capire il pensiero di chi non ha mai potuto sentire sia necessario distinguere i concetti concreti da quelli astratti. La comprensione di cose concrete avviene con la scrittura e l'integrazione simultanea di illustrazioni. Nell'educazione del sordo si riesce abbastanza agevolmente a far comprendere tutto ciò che può essere fotografato.
Di tutt'altro tenore è la comprensione dei concetti astratti. Far comprendere ad un sordo che cos'è la ragione o la inadeguatezza è estremamente difficile. Il limite fondamentale è che il soggetto incapace di sfruttare la comunicazione verbo-acustica sviluppa con estrema difficoltà pensieri che trovano il loro fondamento nei concetti astratti (4).
o o o o
Il pensiero dell'uomo è indissolubilmente legato al linguaggio verbale. Chi è sordo e non riesce a parlare sviluppa egualmente un pensiero che si fonda su altri aspetti come le immagini e la scrittura. Chi è sordo preverbale sviluppa pensieri legati al concreto, mentre ha notevoli difficoltà nel formulare pensieri astratti.
Tra i primi uomini a mettere in pratica la possibilità di insegnare ad esprimersi ai sordi ricordiamo Carlo Michele De l'Epée (1712-1789) che fu un sostenitore del metodo mimico (o linguaggio dei segni) e Samuele Heinicke (1726-1790), sostenitore del metodo orale. Quest'ultimo è stato tra i primi a studiare la psicologia del sordomuto, capì che il suo pensiero era fortemente legato al concreto e alle esperienze visive. Fu il primo a comprendere che insegnando a parlare ai sordi si sarebbe migliorata la loro capacità di comprendere concetti astratti e sarebbe migliorata la loro apertura mentale. Fu un deciso oppositore del metodo dei segni (segni metodici) che definì: "insensato e dannoso per i sordomuti." Si ricorda che il primo sostenitore e pioniere dei segni metodici (definiti anche metodo mimico) è stato l'abate De l'Epée e anch'egli in un suo scritto lasciò comprendere l'importanza del metodo orale: "L'unico mezzo di rendere totalmente i sordomuti alla società è quello d'insegnar loro a comprendere con gli occhi e ad esprimersi con la viva voce." (5).
Rendere totalmente i sordi alla società è l'impegno di sempre.
Col passare degli anni i concetti si sono evoluti. Oggi non ci sono dubbi sul fatto che un sordo debba imparare a parlare.
A partire dal 1980 /1990 si sono diffusi gli impianti cocleari (impianto con stimolazione diretta della coclea) e i bambini sordi in grado di sviluppare il linguaggio verbale sono parecchi.
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1 - L.S. Vygotskij. Pensiero e linguaggio, ricerche psicologiche. a cura di L. Mecacci, Laterza, Roma-Bari, 1990.
2 - Sordastro: bambino che è diventato sordo non alla nascita ma nei primi anni di vita, cioè dopo che ha iniziato l'apprendimento del linguaggio. Con questa parola si comprendono anche i bambini che hanno avuto un deficit uditivo parziale dalla nascita. Hanno una sordità medio-grave o grave, ma non una sordità profonda.
3 - Hans G. Furth. Pensiero senza linguaggio. Implicazione psicologiche della sordità. Armando editore, 1993.
4 - Carlo Govoni. La vicarietà sensoriale nei rapporti tra mente umana e organi di senso. Verbano Medico, vol XII, 1995, 50-61.
5 - Carlo Govoni. La sordità infantile. Edizioni Scientifiche Oppici, Parma, 1994. cap. 7 - Cenni storici sui metodi didattici e tecnici per l'educazione dei bambini con minorazione uditiva.
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